Ci sono tanti fattori che influenzano le scelte di investimento: dalla percezione del rischio alla propensione a utilizzare o meno un servizio di consulenza specializzata. Da un lato l’educazione finanziaria, la consapevolezza delle proprie finanze e la conoscenza degli strumenti di investimento sono elementi determinanti dall’altro, però, intervengono anche fattori psicologici e sociali, che possono contribuire a determinare, almeno in parte, in che modo gli investitori decidono di approcciarsi ai diversi strumenti finanziari. Per esempio, l’età ma anche le scelte e i percorsi di vita di ognuno hanno un’incidenza più o meno marcata su queste decisioni. Ecco allora che, provando a generalizzare, è possibile definire una sorta di identikit delle diverse tipologie di investitori sulla base della loro età anagrafica.

La ricchezza nelle mani dei “senior”

                  
 

I dati contenuti nell’Osservatorio annuale sui sottoscrittori di fondi comuni, curato dall’Ufficio Studi di Assogestioni e presentato lo scorso maggio, per esempio, fanno una prima importante distinzione: la maggior parte dei sottoscrittori appartiene alla cosiddetta categoria dei “baby boomers”: vale a dire quella particolare generazione che sociologi, economisti e analisti, per convenzione sociale, fanno corrispondere ai nati durante gli anni del boom demografico, cioè tra il 1946 e il 1964.

Dalla ricerca, infatti, emerge che l’investitore tipo, in Italia, ha un’età media di circa 61 anni. E sono appunto i “baby boomers” a detenere la maggior parte del capitale investito, incidendo sul totale delle sottoscrizioni per una quota pari al 41%. Mentre le generazioni più anziane, composte da chi oggi ha più di 77 anni rappresentano il 18,5% del totale. Questo significa, dati alla mano, che più di un investitore su due è ultra 60enne.

Un dato significativo, soprattutto perché testimonia che, ad oggi, la maggior parte della ricchezza è ancora detenuta dai senior. Quasi la metà del patrimonio complessivamente investito (il 47%) appartiene agli over 60. Il 25%, invece, alle generazioni più anziane.

E non deve stupire, soprattutto se si considera il contesto demografico generale. Gli anziani, oggi, godono in generale di migliori condizioni di salute, grazie ai progressi costanti della medicina e al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Hanno più tempo libero da dedicare alla gestione del proprio denaro e anche un discreto grado di alfabetizzazione finanziaria, derivante soprattutto dall’esperienza. Non solo. I nati nel secondo dopo-guerra, nel pieno del boom economico, oltre che demografico, hanno imparato dai loro genitori il valore e l’importanza del denaro. Sono sempre stati bravi risparmiatori e, questa loro caratteristica, li ha portati ad avere, in molti casi, un patrimonio solido, frutto di anni di lavoro, oltre che una casa di proprietà. Alcuni, i più giovani tra loro, sono ancora attivi nel mondo del lavoro. I rappresentanti più “vecchi” di questa generazione, invece, oggi possono contare sul reddito stabile della pensione.

Possedendo maggiori disponibilità economiche rispetto alle generazioni più giovani, e avendo iniziato già da tempo a occuparsi attivamente del loro denaro, destinano anche una quota più rilevante del proprio capitale all’investimento. I Baby Boomers, per esempio, osserva ancora Assogestioni, hanno un investimento medio pari a 53.000 euro (*). I super anziani, cioè gli over 77, allocano anche mediamente 62mila euro (*).

Millennials e Gen Z: gli investitori di domani

                 
 

Ma qualcosa sta iniziando a cambiare. Il passaggio generazionale è inevitabilmente in atto, e si sta assistendo a un primo (seppur lento) progressivo spostamento della ricchezza dai più anziani ai più giovani. I Millennials (vale a dire i nati tra il 1980 e il 1996) e i loro fratelli minori, gli appartenenti alla cosiddetta “Generazione Z” (che include i nati tra il 1996 i primi anni 2010) stanno iniziando a gestire i patrimoni di famiglia e ad affacciarsi sul mercato degli investimenti. Ma in modo molto diverso rispetto ai loro genitori e ai loro nonni.

Innanzitutto, si legge ancora nell’Osservatorio Assogestioni, gli under 40 nel loro insieme oggi rappresentano non più del 13% del totale dei sottoscrittori di fondi. Hanno iniziato da poco ad affacciarsi al mondo degli investimenti, anche per via della loro situazione sociale che ne ha inevitabilmente influenzato le abitudini. Per questo motivo, dedicano anche minori capitali: i Millennials hanno un investimento medio di circa 18.000 euro (*), mentre i più giovani, rappresentanti della Generazione Z, si fermano a 12.000 euro (*). Per via del loro ingresso ritardato nel mondo del lavoro e della vita adulta, dovuto spesso ad anni di precariato, e al fatto che hanno appena iniziato a investire, privilegiano la forma del PAC: secondo Assogestioni, infatti, il 50% dei più giovani sceglie di investire attraverso piani di accumulo, così da non avere un esborso considerevole tutto in una volta. Viceversa, oltre il 70% dei Baby Boomers sceglie il PIC, cioè l’investimento in un’unica soluzione.

Non solo. Stando ai dati contenuti nello studio del JDM Lab dell’Università di Pavia, che svolge attività di ricerca in vari ambiti compreso quello della finanza comportamentale, (presentato lo scorso maggio in occasione del Salone del Risparmio 2023), i giovani di oggi hanno anche una propensione al risparmio diversa. E dunque obiettivi differenti. Avendo sperimentato sulla loro pelle la crisi economica e la precarietà, risparmiano soprattutto per acquisti importanti come tecnologia, viaggi, casa. Hanno stipendi mediamente piuttosto bassi e dunque investono più che altro per integrare il loro reddito. Ma non pensano troppo a lungo termine: preferiscono concentrarsi sul presente piuttosto che su eventi troppo lontani. Per questo pochi di loro hanno già attivi dei fondi pensione.

                      
 

Per tutte queste ragioni, il portafoglio risulta costruito in modo molto diverso. Gli under 40 in generale, ma soprattutto i giovanissimi rappresentanti della “Gen Z”, hanno anche un interesse molto più marcato rispetto ai loro predecessori, in merito alle tematiche di sostenibilità ambientale. Riciclano di più, sono disposti ad acquistare prodotti “green” (a patto di non pagare un sovrapprezzo) e premiano nelle loro scelte di acquisto i brand che fanno della sostenibilità la loro bandiera. Lo confermano anche i dati di una ricerca condotta da Ipsos (società di ricerche di mercato) nel 2022: per l’83% dei giovani rappresentanti della Generazione Z l’affermarsi di un’economia “green” e di industrie eco-sostenibili è giusto o, addirittura, indispensabile.

Sono, inoltre, aperti e inclusivi e più critici verso le imprese e le grandi aziende: sebbene comprino comunque i loro prodotti, si aspettano un maggiore impegno da parte di imprese e grandi firme per cambiare il mondo in modo “green”. Anche se, specifica la ricerca, ben il 40% degli intervistati sostiene che i costi per avere prodotti ecosostenibili devono restare a carico delle società produttrici e non dei consumatori.

Una scelta e una propensione che si ritrovano specularmente anche nei portafogli di investimento. Non è un caso che siano proprio i più giovani a privilegiare fondi e strumenti di risparmio gestito “sostenibili”. Lo conferma anche il Rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, presentato lo scorso gennaio. L'attenzione verso gli investimenti ESG (Environment, Social, Governance) risulta maggiore proprio tra le donne e i più giovani. Ma anche gli "investitori abbienti" e quelli più alfabetizzati dal punto di vista finanziario dimostrano di avere una propensione maggiore a scegliere questi strumenti.

 

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(*) Valore in stock a dicembre 2022

Fonte Assogestioni: Osservatorio sui sottoscrittori di fondi comuni (maggio 2023)