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Nel 2023 il fatturato estero è calato dello 0,8% a 7,8 miliardi, ma meno di Francia (-2,7%) e Spagna (-2,6%). In controtendenza le bollicine (+3,3%).

Tira il freno nel 2023 l’export delle cantine italiane. Ma il calo frazionale (-0,8% sul 2022) delle vendite all’estero di vini e spumanti, che hanno generato l’anno scorso un giro d’affari di poco meno di 7,8 miliardi di euro, si confronta con performance decisamente più deludenti dei due maggiori competitor, Francia e Spagna, paesi in cui le perdite sono state, in entrambi i casi, di quasi 3 punti percentuali. La dimensione del fatturato cross border assegna alla Francia la leadership mondiale, con 11,9 miliardi di euro. Seguono l’Italia, seconda per valori ma prima per volumi, e a parecchia distanza la Spagna con meno di 3 miliardi di euro di esportazioni.

A subire una battuta d’arresto, l’anno scorso, sono state principalmente le esportazioni di vini fermi in bottiglia. Anche in questo caso, tuttavia, il calo delle etichette italiane, del 2,7% su base annua, è apparso più contenuto rispetto a quello delle bottiglie francesi (-4%) e spagnole (-4,3%). Altro aspetto da rilevare è che con le vendite all’estero di bollicine, cresciute del 3,3%, ancora sotto la spinta del Prosecco, l’Italia è l’unica in controtendenza, mentre i Cava spagnoli e gli Champagne francesi hanno perso terreno, cedendo rispettivamente lo 0,9 e l’1,2% degli incassi del 2022. Le esportazioni di vini sfusi e di confezioni oltre i 2 litri, compresi i bag-in-box, hanno segnato aumenti generalizzati. Il segmento rappresenta tuttavia porzioni di fatturato molto modeste in Francia e Italia, mentre assume un maggiore rilievo per le cantine spagnole. 

Extra costi e consumi in calo riorientano la produzione

Con poco più di 38 milioni di ettolitri (-23,6%) l’Italia archivia la peggiore vendemmia dal Dopoguerra, compromessa dalle grandinate e dalla peronospora al Centro-Sud. In Spagna è stata invece la siccità a limitare la produzione (-21,1%). Dop e Igp rappresentano oltre due terzi del vino europeo che si confronta con le nuove tendenze nei mercati di riferimento.

La Commissione europea ha confermato nei giorni scorsi il brusco dietrofront della vendemmia 2023 nell’Ue. A livello dei Ventisette - basandosi sulle notifiche trasmesse dagli Stati membri - la produzione vinicola è scesa a 148,3 milioni di ettolitri, con un 10,5% di riduzione su base annua e con uno scarto negativo del 13% rispetto ai 170 milioni di inizio decennio. Un risultato distante parecchie spanne (circa 40 milioni di ettolitri, l’equivalente della produzione spagnola) dal picco dei 190 milioni sfiorati nel 2018. 

I vini a denominazione d’origine e a indicazione geografica protetta (Dop e Igp) rappresentano oltre due terzi (poco meno del 68%) dalla produzione vinicola dell’Ue, che con questi numeri conferma un forte orientamento alla qualità, seppure con differenze sostanziali tra Paesi.

Divergenze emergono anche nelle dinamiche produttive, con riduzioni significative sperimentate in Italia e Spagna, rispettivamente del 23,6 e del 21,1% su base annua, e aumenti dell’8,4% in Francia, di oltre il 10% in Portogallo e di quasi il 20% in Romania, che tra i Peco è il paese che esprime il maggiore potenziale vitivinicolo.

Segno meno anche in Germania, dove la vendemmia dell’anno scorso ha chiuso con una flessione del 3,8 per cento. Da rilevare che l’Italia, con il crollo di quest’anno, ha perso, per la prima volta da nove anni, il ruolo di maggiore produttore mondiale cedendo il primato alla Francia, che negli ultimi dodici mesi ha prodotto quasi 10 milioni di ettolitri in più, portandosi a 48 milioni, contro i 38,3 milioni conteggiati in ambito nazionale (minimo dal Dopoguerra).

Al 77% la quota delle denominazioni e indicazioni geografiche protette delle cantine italiane, contro il 68% della Francia e il 47% di Madrid. Seppure con potenziali largamente inferiori a quelli dei tre maggiori produttori dell’Ue, il primato in quest’ambito va però alla Germania, con la quasi totalità (il 98%) dei suoi volumi (8,5 milioni di ettolitri nel 2023) costituita da vini di fascia alta e intermedia. Rilevante l’incidenza delle Dop e Igp (88%) anche in Portogallo, mentre la Romania, con una produzione comunque limitata (meno di 5 milioni di ettolitri nel 2023), non arriva con le sue produzioni di qualità al 30% di quota. 

 

Le pesanti perdite produttive archiviate in Italia e Spagna sono il risultato di un’annata gravemente compromessa da un andamento climatico rivelatosi particolarmente negativo. Significativi sono stati soprattutto i danni arrecati dalle grandinate, di particolare intensità e frequenza nel corso del 2023. Eventi che hanno compromesso intere produzioni nelle aree maggiormente colpite e limitato significativamente le rese in zone comunque interessate da questi fenomeni. La peronospora, una malattia fungina che arreca danni significativi alle viti e che ha colpito soprattutto le regioni del Centro-Sud lungo la dorsale adriatica (Marche e Abruzzo in particolare, ma anche parte della Puglia e altre zone del Mezzogiorno), è stato l’altro evento che ha avuto un grave impatto sulla produttività dei vigneti. In Spagna è stata invece la siccità a limitare in maniera significativa la produzione, mentre in Francia le condizioni climatiche complessivamente favorevoli e l’impatto limitato delle fitopatie hanno permesso ai Vigneron di recuperare le perdite subite nel 2022.  

Da rilevare che la bassa produzione di quest’anno nell’Ue coincide con una fase di conclamata difficoltà del settore, schiacciato dagli alti costi di produzione, da giacenze elevate e da una difficoltà di tenuta dei consumi e dell’export, per la crisi, ormai strutturale, dei vini rossi e per i cambiamenti negli stili di consumo soprattutto in Usa e in altri mercati di maggiore riferimento, come il Regno Unito, fenomeno evidente tra le fasce di consumatori più giovani. Una situazione che ha spinto Parigi e Madrid a varare misure anticrisi con aiuti alla distillazione e sostegni all’espianto dei vigneti, un’iniziativa, quest’ultima, che ha adottato l'anno scorso anche la California per limitare i surplus produttivi. 

Peronospora, 7 milioni di indennizzi entro il 12 maggio 

Via libera alle domande di indennizzo per le aziende viticole che, nel 2023, hanno subìto perdite di raccolto dovute alla peronospora.  Sono stati, infatti, aperti i termini per la presentazione delle richieste di risarcimento nelle 11 regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Toscana e Umbria) in cui è stato riconosciuto lo stato di calamità. Ci sarà tempo fino al 12 maggio. I risarcimenti verranno erogati da Agea, che istruirà anche le domande, attingendo alle risorse (7 milioni di euro) stanziate dal decreto “Asset” (decreto-legge 104/2023, convertito con modificazioni dalla legge 136/2023). 

Le richieste di risarcimento potranno essere presentate dalle aziende che hanno subito, a causa degli attacchi di peronospora, un danno superiore al 30% della produzione media degli ultimi tre anni e che non hanno beneficiato di risarcimenti derivanti dalla sottoscrizione di polizze assicurative o dall’adesione a fondi mutualistici. 

Le stime dei danni effettuate dalle regioni, che ammontano a diverse centinaia di milioni di euro, rendono lo stanziamento dei 7 milioni assolutamente insufficiente a compensare le aziende colpite. Non è esclusa, però, un’integrazione delle risorse finanziare attingendo al fondo per le emergenze in agricoltura, stando  a quanto recentemente annunciato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, nell’esigenza di sostenere una filiera, quella del vino, ritenuta “fondamentale per l’economia e la cultura del Paese". 

Così la crisi climatica può cambiare la mappa produttiva dei vigneti 

Secondo una ricerca delle Università di Bordeaux e di Borgogna un rialzo delle temperature oltre la soglia critica dei 2 gradi rispetto all’epoca preindustriale metterebbe a rischio il 70% delle attuali regioni vinicole. Nuove varietà e portinnesti potrebbero non bastare a salvare la redditività, facilitando la coltivazione dell’uva in regioni non tradizionalmente vocate.

Il vigneto mondiale potrebbe cambiare fisionomia per gli effetti, neanche troppo di lungo termine, dei cambiamenti climatici. Lo rivela una ricerca delle Università di Bordeaux e di Borgogna sulle potenziali implicazioni del riscaldamento globale nel comparto vitivinicolo soprattutto nell’Ue, area in cui si concentrano circa due terzi della produzione mondiale. 

Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment, se la temperatura globale dovesse superare la soglia critica di 2°C rispetto all'era preindustriale il 70% delle attuali regioni vinicole potrebbe affrontare rischi significativi di perdita di idoneità per la produzione di vino. Circostanze - fa osservare Federvini, nel riportare gli esiti delle proiezioni elaborate dai ricercatori - che potrebbero portare alla scomparsa di intere regioni vinicole di tradizione e notorietà internazionale in Spagna, Italia, Francia e Grecia, oltre che in California, dove è significativamente aumentata anche l’incidenza e la frequenza degli incendi, nel contesto dell’emergenza climatica. 

I produttori - secondo gli esperti - dovranno gioco forza adattarsi alle nuove condizioni meteorologiche e non solo alle ondate di calore, ma anche alle ricorrenti gelate, alle piogge alluvionali e alle prolungate fasi di siccità, rafforzando la resilienza con l’introduzione di nuove varietà e di portinnesti più resistenti. Eventi climatici estremi che hanno già avuto un impatto significativo sulla produzione di vini, determinando mediamente rese più basse rispetto ai livelli di inizio anni Sessanta. 

Stando allo studio, gli adattamenti potrebbero tra l’altro non bastare a garantire la redditività della viticoltura in alcuni distretti oggi sostenibili sul piano economico-finanziario, considerato che solo il 25% delle attuali regioni vinicole potrebbe beneficiare di un aumento della temperatura entro la soglia dei 2°C e il 26% mantenere l’idoneità ma solo con adeguate pratiche di gestione. L’aumento delle temperature potrebbe inoltre cambiare parte della geografia dei vigneti mondiali, facilitando la coltivazione dell'uva in regioni non tradizionali come il Regno Unito, lo Stato di Washington, l'Oregon e addirittura la Tasmania.