II forte aumento registrato dal prezzo delle materie prime negli ultimi mesi ha gettato l’ombra su un possibile ritorno inflazionistico. Il dibattito sull’argomento è particolarmente delicato se si considera che, nella maggioranza dei paesi avanzati, i policy-maker stanno ancora attuando politiche monetarie espansive.
L’Area Euro è passata da un tasso di inflazione mensile pressoché nullo registrato a dicembre 2020, al +3.4% di settembre: ciò risulta particolarmente significativo, poiché negli ultimi 20 anni un livello più alto è stato raggiunto solamente nel 2008. Per gli Stati Uniti la situazione è ancora più allarmante: negli ultimi 6 mesi l’inflazione si è rapidamente quadruplicata, arrivando a superare il 6% già dai mesi estivi. Nonostante ciò, le aspettative sull’inflazione a lungo termine sono per il momento ben ancorate e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede un ritorno ai livelli pre-pandemici per la metà del 2022.
La spinta del motore delle aspettative dipende in modo determinante dal comportamento delle banche centrali, la cui valutazione sulla natura temporanea delle attuali pressioni inflazionistiche potrà quindi costituire un’importante freno alla formazione di aspettative significative di inflazione.

In questi ultimi mesi del 2021, la ripresa inflazionistica che sta interessando le principali economie globali è divenuta crescente motivo di preoccupazione. Le politiche espansive che i governi di molti paesi stanno attuando per uscire definitivamente dalla crisi pandemica stanno contribuendo in maniera significativa alla crescita dell’inflazione. Di conseguenza, un’inversione di tendenza sul fronte delle politiche pubbliche è vista come elemento di forte rischio, che potrebbe rallentare il recupero dell’economia mondiale.
L’inflazione nell’Area Euro ha visto una rapida accelerazione negli ultimi mesi, passando da un valore prossimo allo zero riportato nell’ottobre 2020, sino a toccare il 4.1% di ottobre 2021 (fonte: Eurostat) – valore paragonabile solo al periodo precedente alla Grande Recessione del 2008. Di pari passo, gli Stati Uniti hanno registrato un aumento ancora più significativo, che ha raggiunto il 6.4% lo scorso giugno e si assesta tuttora sopra quota 6%.

 

In larga misura, il recente aumento dell'inflazione riflette una combinazione di squilibri tra domanda e offerta indotti dalla pandemia, che hanno portato, come prima conseguenza, all'aumento dei prezzi delle materie prime. Queste ultime hanno continuato la loro corsa al rialzo con il rafforzamento dell'attività economica, prime fra tutte le categorie riguardanti i metalli, le plastiche e i beni energetici.
Nonostante lo shock degli ultimi dodici mesi riguardante le commodity, la gran parte dei beni di consumo ad esse collegati ha mostrato una crescita dei prezzi notevolmente meno intensa: ciò rafforza le aspettative di molti analisti, che affermano che il picco inflazionistico sarà destinato a dissiparsi nel medio periodo.

Focus sulle principali aree geografiche

I tassi di inflazione sono aumentati rapidamente negli ultimi mesi, soprattutto in alcune economie emergenti e paesi in via di sviluppo; emergono tuttavia differenze sostanziali nella misura delle pressioni tra i diversi paesi e le diverse aree geografiche.
Il grafico che segue mostra i tassi di inflazione riportati nel World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale, nell’ultima pubblicazione dello scorso ottobre. Sono state messe in evidenza le quattro principali aree economiche mondiali, ovvero Asia, Europa, Nord America e America Latina.

 

Il grafico evidenzia come il continente americano sia stato quello più colpito: la variazione percentuale dei prezzi medi al consumo prevista per il 2021 tocca il 6% in America Latina, mentre nel Nord America si posiziona poco sopra il 4%. Valori più contenuti vengono registrati per l’Europa e l’Asia, rispettivamente a quota 2.5% e 3%. Con l’eccezione dell’Asia, i tassi previsti per il 2021 sono stati rivisti tutti al rialzo rispetto alla pubblicazione WEO di aprile 2021, soprattutto per i paesi nordamericani.
Per il 2022, le previsioni per Europa e Nord America, le due aree economiche tipicamente più sviluppate e con un alto tasso di popolazione vaccinata, prevedono un rallentamento del tasso d’inflazione, in linea con le aspettative internazionali. Al contrario per Asia e America Latina, composte soprattutto da paesi in via di sviluppo e spesso ancora in difficoltà nella lotta contro la pandemia di SARS-CoV-2, il FMI prevede un incremento nel tasso di inflazione per il prossimo anno, anche in maniera significativa nel caso dell’America del Sud (che passa da un tasso prossimo al 7% nel 2021 ad un +9.4% previsto per il 2022).

 

Conclusioni

L’analisi svolta rivela una prospettiva molto incerta. In questa fase di ripresa inesplorata diventa fondamentale l’evoluzione delle aspettative, fortemente collegato al comportamento che terranno le banche centrali. Nonostante fino a qualche mese fa, nella maggior parte delle economie, ci si aspettasse che il prossimo anno l’inflazione scendesse al suo valore pre-pandemico, sembra che la Fed sia intenzionata ad agire prima del previsto verso un rialzo dei tassi di interesse. In Europa i valori sono più contenuti e la BCE sta continuando il suo programma di acquisto di titoli di stato, seppur monitorando giornalmente la situazione.
Le valutazioni delle banche centrali sulla natura temporanea o meno delle attuali pressioni inflazionistiche è un elemento cruciale. Anche da esse dipendono le aspettative di inflazione, risultando un fattore determinante per l'evoluzione nel prossimo futuro dei tassi di inflazione nei diversi paesi del mondo.