Il nostro Pianeta ha la febbre.

2 °C sono tanti o pochi? Il senso comune ci porterebbe a dire pochi. Ma proviamo a pensare a quanti siano per il nostro corpo 2 °C di differenza. Avere la febbre a 37,5 °C o a 39,5 °C fa tutta la differenza del mondo. Per il nostro pianeta è un po’ la stessa cosa: oggi ha una temperatura di 1,1 °C superiore all’era pre-industriale (pre 1850). Ha la febbre, ma non molto alta. Le previsioni del Sesto Rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) dell’ONU ritengono, però, che se si continuerà con i soli impegni presi finora, a fine secolo la temperatura della Terra sarà tra i 2,1 °C e i 2,9 °C maggiore rispetto all’era pre-industriale. Uno scenario pericoloso, cui certamente l’uomo con l’avanzamento tecnologico potrebbe fare fronte, ma che porrebbe al tempo stesso moltissimi problemi, soprattutto nelle aree più colpite del pianeta. È pertanto uno scenario da evitare a qualsiasi costo.

L’IPCC concluderà la sua prossima valutazione intorno al 2030. Al ritmo di emissioni di anidride carbonica (CO2) attuale - pari a oltre 420 parti per milione (ppm) rispetto alle 320 ppm del 1960*-, per quella data l’aumento delle temperature potrebbe pericolosamente sfiorare gli 1,5 gradi. Secondo quanto stabilito dagli Accordi di Parigi del 2015, tale quota è definita “overshoot”, il punto oltre il quale l'impatto del climate change sull'umanità diventerà sempre più difficile da gestire e gli effetti della crisi climatica saranno irreversibili. A questo punto non si tratta più di non raggiungerlo, ma di posticiparlo e possibilmente fare sì che questo sia il picco massimo, da cui poi iniziare la discesa.

Oltre a descrivere la difficile situazione, il Report dell’IPCC prova a proporre delle soluzioni. Le Nazioni Unite ritengono urgente e prioritario dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, per poi arrivare a emissioni nette zero (una situazione di bilanciamento in cui non si emettono nell’atmosfera più gas serra di quanti se ne sequestrino o compensino) entro il 2050. Obiettivo che si è prefissata anche l’Unione europea, che per questo ha varato il “Green Deal”, un ambizioso piano di transizione ecologica che prevede l’aumento della quota di fonti rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e l’obbligo per le automobili di non usare carburanti fossili a partire dal 2035.

Un piano certamente di non facile attuazione, anche per via degli interessi divergenti dei Paesi membri. Anche nel Vecchio Continente però gli effetti dei cambiamenti climatici iniziano a farsi vedere. Lo possiamo testimoniare nella nostra vita di tutti i giorni: le temperature sono sempre più elevate in tutte le stagioni, la neve meno frequente anche in montagna e le precipitazioni sempre più rare, con le gravi problematiche di siccità che riempiono le pagine dei giornali e rendono difficile il lavoro quotidiano di tante imprese e lavoratori dell’industria agroalimentare.

Le problematiche per l’Europa però potrebbero essere solo all’inizio. Secondo il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) del 2023, con un aumento delle temperature di 2 °C la siccità e l’aridità continueranno ad aumentare soprattutto nelle aree centrali e meridionali del continente, assisteremo all’innalzamento del livello del mare, alla diminuzione del manto nevoso e anche della velocità del vento. Insomma, conseguenze pesanti e tangibili anche alle nostre latitudini.

Il cambiamento climatico sarà una delle principali sfide dell’umanità del XXI secolo. Una sfida che riguarda tutti e che non sarà facile vincere. L’azione è affidata ai singoli governi che, con interessi e culture divergenti, spesso prediligono altre azioni a quelle necessarie a contrastare il climate change. In particolare, i Paesi in via di sviluppo ritengono in molti casi prioritaria la propria ascesa economica rispetto al raggiungimento degli obiettivi climatici accusando, non senza qualche ragione, i Paesi sviluppati di ipocrisia, dal momento che hanno ottenuto il loro benessere inquinando per decenni. La situazione è dunque intricata, ma il futuro del pianeta riguarda tutti noi e questo non può essere dimenticato.

 

*fonte https://gml.noaa.gov/ccgg/trends/